Quando nel 1964 Marshall McLuhan coniò la celebre frase "The medium is the message", probabilmente non immaginava quanto sarebbe diventata profetica nell'era dei social media. Eppure, oggi questa intuizione risuona con una forza ancora maggiore.
Ma cosa intendeva realmente McLuhan? Il suo messaggio fondamentale era che il mezzo di comunicazione stesso influenza e trasforma la società, indipendentemente dal contenuto che veicola. Non è tanto importante cosa viene comunicato, ma come viene comunicato.
Prendiamo Instagram come esempio. La sua natura visuale non si limita a mostrare foto: ha creato una nuova estetica, ha influenzato il modo in cui viaggiamo ("è instagrammabile?"), mangiamo (il "food porn"), e persino come progettiamo gli spazi pubblici. Il medium non sta semplicemente trasmettendo immagini, sta plasmando il nostro modo di vedere e vivere il mondo.
Ma c'è di più. Nell'era degli algoritmi, il medium non è più solo il contenitore del messaggio: è diventato un curatore attivo che decide cosa vediamo e cosa no. Quando scorriamo il feed di TikTok o Facebook, non stiamo semplicemente consumando contenuti: siamo immersi in un ecosistema che apprende dalle nostre interazioni e ci restituisce una realtà filtrata e personalizzata.
Gli algoritmi dei social media sono diventati i nuovi "gatekeeper" dell'informazione. Decidono quali notizie leggeremo, quali opinioni incontreremo, quali prodotti desidereremo.
Non sono neutri: privilegiano il contenuto che genera engagement, che mantiene l'utente sulla piattaforma, che suscita reazioni emotive. Il medium non solo influenza il messaggio: lo seleziona, lo amplifica, lo modella.
Questo ha profonde implicazioni. Le "bolle filtro" che si creano rafforzano le nostre convinzioni esistenti. La viralità privilegia spesso il contenuto sensazionalistico rispetto a quello riflessivo. La ricerca costante di engagement può portare alla polarizzazione delle opinioni e alla semplificazione di temi complessi.
McLuhan parlava di "villaggio globale", ma forse oggi viviamo in tanti micro-villaggi digitali, ognuno con la sua verità algoritmica. Il medium non è più solo il messaggio: è diventato il filtro attraverso cui percepiamo la realtà.
Questo non significa demonizzare i social media. Significa piuttosto essere consapevoli del loro ruolo non neutrale nella formazione della nostra visione del mondo. Significa sviluppare una nuova forma di alfabetizzazione mediatica che ci permetta di comprendere non solo i contenuti, ma anche le architetture invisibili che li selezionano e li distribuiscono.
La frase di McLuhan ci ricorda che ogni nuovo medium non è solo uno strumento, ma un ambiente che ci modifica. Nell'era dei social media algoritmici, questa consapevolezza è più importante che mai. Il medium non solo trasmette il messaggio: plasma la nostra percezione della realtà, influenza le nostre relazioni, modella le nostre identità digitali.
La sfida per i professionisti della comunicazione è quindi quella di mantenere un equilibrio tra i benefici della personalizzazione e il rischio dell'isolamento informativo, tra la comodità dell'algoritmo e la necessità di una dieta mediatica diversificata.